Monte Sobretta

Alpi Retiche meridionali, ancora tra le Alpi dell'Ortles.
Valfurva, appendice ultima della Valtellina, una delle tanti valli alpine regno delle montagne. Quasi un 3300 che si fa salire docilmente, orizzonti infiniti e tutti da scoprire e conoscere, ghiacciai, valli strette e profonde, montagne intorno sogno di tutti gli escursionisti. Emozione infinita.


Alta Valtellina, Valfurva, quest’anno abbiamo tradito le affollate Dolomiti e già abbiamo capito che è stata una scelta, se pure quasi casuale, del tutto azzeccata. E’ domenica, di norma giornata più affollata, deviamo dalle valli e dai percorsi più battuti, decidiamo di salire sul monte Sobretta, un 3296m defilato delle Alpi dell’Ortles nelle Alpi Retiche Meridionali. Da Santa Caterina Valfurva saliamo in auto direzione passo Gavia fino alla località Ponte dell’Alpe (2286m) da dove parte la via normale e che evita la salita in funivia fino al Sunny Valley, un rifugio a tante stelle che con la montagna c’azzecca come il vino a colazione. Una palina con vari cartelli sul lato destra della strada, pochi metri prima del tornante e del piccolo ponte che da il nome alla località, indica una manciata di mete, tra cui la nostra; si imbocca la sterrata in salita e si tralascia quella più allettante che si infila a valle ai lati del piccolo corso d’acqua che manco a farlo apposta porta il nome di torrente dell’Alpe. Sale lentamente di quota e per circa un chilometro scorre alta parallela alla valle, sul versante opposto si alzano i ruvidi e scuri contrafforti delle montagne che iniziano a formare la dorsale del Gavia; poche centinaia di metri oltre il famoso isolato roccione triangolare (descritto in tutte le relazioni di salita) che è davvero difficile non notare e che letteralmente si sfiora, la sterrata vira sulla destra e continua in salita, si supera sulla sinistra un sentiero tra i prati che appena si percepisce e che proviene dalla grotta Edelweiss, ci condurrebbe comunque alla nostra meta ma lo tralasciamo perché contiamo di utilizzarlo al rientro. La sterrata scorre verso Nord per ripiegare e tornare indietro dopo mezzo chilometro e a quote più alte; punta una stazione di arrivo delle seggiovie e dopo poche centinaia di metri ripiega di nuovo verso Nord, ancora poche centinaia di metri ed una palina indica il sentiero per il rifugio che si stacca sulla destra, una traccia tra i verdi prati che raggiunge presto una piccola dorsale da cui si apre una vista incredibile su un mare di montagne che fatichiamo a distinguere, di certo localizziamo la vicina piramide di Punta Tresero e l’imponente massiccio del monte Confinale, le due montagne che sovrastano Santa Caterina Valfurva. Spuntano intorno a Punta Tresero una manciata di piccoli ghiacciai che si perdono nella foschia. Per un pò si scorre sulla dorsale che diventa presto rocciosa ma facile da percorrere e che ben presto entra nel cuore degli impianti da sci della zona; in alto lontana spicca la stazione intermedia che proviene da Santa Caterina e dopo poche centinaia di metri e dopo aver risalito qualche piccolo risalto sulla sinistra in alto davanti a noi si scopre il rifugio Sunny Valley una struttura turistica di prim’ordine che a parte la sua struttura in legno davvero non richiama nessuna idea di montagna (+1,30 ore). Si supera il rifugio e l’attiguo laghetto sulla sinistra e si seguono le indicazioni per il lago dell’Alpe, un sentiero a tratti poco evidente si inoltra sinuoso sotto le funi di risalita dell’impianto, aggira vari risalti rocciosi e si affaccia sul piccolo lago (+30 min.), un verde placido specchio d’acqua limpida dove risaltano sul lato opposto bianche colonie di Eriophorum o Pennacchi di Scheuchzeri. Il sentiero si stacca dal lago sulla sinistra, la traccia diventa molto evidente ed è costellata da frequentissimi ometti di varie dimensioni e composti da rocce colorate delle più svariate tipologie. Pittoreschi e decorativi per un territorio che va velocemente perdendo i prati lasciando il passo a distese rocciose quasi desertiche. La direzione è quella della scura e lunga costa dei Sassi Neri, preludio alle cime più alte della costa della Sobretta, la cima non si riesce ancora ad individuare e scoprirò poco dopo che era ancora nascosta dalle elevazioni che avevamo sulla destra dove spiccano rugginose placche molto inclinate. Rimpiango di non essere accompagnato da un geologo che avrebbe potuto intrattenerci per ore tante erano le formazioni rocciose, i colori, le intrusioni, per non parlare delle alte dorsali che avevamo intorno che tendevano direttamente ad un colore in prossimità del nero; non siamo abituati a questo tipo di montagna, i verdi Appennini, le calcaree e rosacee Dolomiti contrastano con i duri e scuri graniti delle Alpi, le intrusioni poi la fanno da padrone, colorano, stratificano, solleticano la fantasia, affascinano. In un deserto di roccia e per linee morbide saliamo costantemente avvicinandoci alla dorsale che chiude la grande valle, quasi un plateu, sfioriamo un lago di scolo, grigio come lo sono le acque che defluiscono dai ghiacciai nonostante non ce ne sia ombra se non sul versante opposto e si continua a salire sempre in maniera graduale; gli omini di pietra multicolori continuano a farci compagnia e sono ovunque, sempre belli; al di la della scenografia mi viene in mente che in caso di nuvole basse diventerebbero un autentico filo di Arianna. Un pietrone molto scenografico lungo il sentiero porta incisa quota 3000m, fa effetto per noi che veniamo dagli Appennini; ancora di più se nella foto di rito lo sfondo è formato dalle vette che girano sopra il ghiacciaio dei Forni e dalla lingua del ghiacciaio del Dosegù che pur se ridotto è sempre un bel vedere. Ormai ci siamo, superato un ultimo balzo abbiamo di fronte l’intera dorsale del Sobretta, rimangono da salire gli ultimi trecento metri e ancora non è ben chiara quale che sia la vetta principale; è in via di consolidamento il sentiero da questo punto fino alla vetta, mezzi meccanici sono disseminati nella conca. Il consolidamento ad onor del vero è andato un po' oltre, fino a che il pendio non si inerpica la traccia è diventata una sorta di ampia carrareccia, delimitata da file di pietre in bell’ordine, decisamente troppo, per adeguatezza, per spreco di soldi pubblici, per l’essenzialità aspra del luogo. E’ stata modificata e spostata anche l’antica traccia di salita, che stando ai piccoli omini rimasti e contrassegnati dalle bandierine CAI scorre un po' defilato e non più percorso sulla sinistra. Attraversato il plateu ormai roccioso e asciutto in leggera salita si raggiunge la base della salita terminale, il versante prende ad inerpicarsi repentinamente in uno sfasciume continuo di rocce ciottolose e instabili, i tornanti si fanno molto frequenti e scivolosi, un deserto cui non siamo abituati, sulla sinistra distante mezzo chilometro, in una conca, ciò che rimane della vedretta del Sobretta, ridotto ormai a quasi nevaio; sulla destra una cresta affilata e scuri torrioni spalancano il vuoto sulla Valfurva. Quando inizia a spianare si è in vetta (+2,20 ore), c’è una croce molto semplice e gli orizzonti si allargano in tutte le direzioni, dire che siamo felici è davvero poco. C’è un po' di folla, una decina di persone, ci sediamo per goderci il panorama grandioso ma non riusciamo a soffermarci su nulla in particolare, è tutto troppo grande; i laghi Belli, dal colore turchese e verde sono il primo dettaglio che ci colpisce, laghetti alpini nella spianata della valle Sobretta, sotto l’antistante punta di Bormio 3000, facili da raggiungere da questa cima raggiunta dagli impianti di risalita e con una breve discesa su facile sentiero. Scorgo poi sulla cresta sassosa che scende sul versante opposto da dove siamo arrivati due ungulati quasi cuccioli, sono lontani, fermi e tranquilli ma non riesco a distinguerli e a capire a che specie appartengano; incastrati nel versante che scende ripido e ruvido sulla val Sobretta varie lingue di neve sporca, ciò che rimane del ghiacciaio Nord Ovest del Sobretta riportato dalle carte. E poi l’orizzonte fatto di un numero impressionante di montagne, dalla parte opposta della valle a Nord il lontano Cristallo, il Confinale, l’infilata dell’Ortles, Zebrù e Gran Zebrù, ad Est il Cevedale e Pizzo Tresero con la tante vette che li uniscono a formare la corona dei 3000 che contiene il ghiacciaio dei Forni, cima Gavia, e chissà quanti altri vicini e più lontani che non so riconoscere e a cui non posso dare nome, di sicuro la Presanella, l’Adamello, sono certo si arrivi a scorgere il Bernina anche se l’orizzonte non è propriamente limpidissimo. Vivevamo un sogno nella nostra prima giornata in Valfurva. Il vento teso fa precipitare la temperatura, peggio fanno le nuvole che si addensano, si fanno scure e per fortuna rimangono alte; un Gipeto inizia a volteggiare sopra le nostre teste, è solo e compie ampie giravolte, una macchina del volo con la sua imponente apertura alare, animale dalla storia affascinante, perso e ritrovato, simbolo del parco dello Stelvio in cui ci troviamo. Non ce ne vorremmo mai ripartire ma come sempre la vetta è un breve momento dell’intera escursione; la via del rientro è per la stessa dell’andata, fino al lago dell’Alpe, scendendo sul versante ripido scorgiamo ciò che non abbiamo notato in salita, il bel laghetto di scolo proprio sotto la vedretta del Sobretta. Da prima in condizioni di temperatura quasi invernale, sotto i 3000 e finiti sotto vento inizia ad andare meglio, al lago si è tornati già in condizioni estive. Per tutto il rientro e fin tanto ci manteniamo a quote alte con le montagne intorno al Cevedale davanti è come camminare dentro una cartolina, ma quanto sono belle le Alpi? Al lago (+ 2 ore) deviamo sulla destra per il sentiero 562, andremo ad intercettare il sentiero 565 e la valle dell’Alpe dove scorre il torrente omonimo, che ha scavato una stretta forra, la bella e panoramica traccia traversa alta sulla valle ed atterra dove il torrente ha perso velocità e scorre lento nella valle ormai formata e più ampia; il posto è di quelli che solo le Alpi sanno regalarti, è stato impossibile rinunciare ad una sosta con tanto di pediluvio nelle fresche acque del torrentello; rigenerante, non solo per i piedi stanchi ma soprattutto per il cuore. Il sentiero di rientro si stacca sulla sinistra del torrente, riprende a traversare sotto coste rocciose mentre la valle scende più veloce, in breve tempo siamo alti rispetto al torrente e la leggerezza dello scorrere dell’acqua che ci ha accompagnato per un po' si perde presto. Passiamo davanti all’imbocco della grotta Edelweiss, una caverna che si stringe rapidamente e che ho cercato di perlustrare un po'; mancanza di attrezzatura, casco e lampada, la grotta che pur continuando quasi in piano si abbassa progressivamente fino a costringere a gattonare, sono stato costretto a mollare quasi subito. Nessuna concrezione ma la stratificazione delle rocce era impressionante, tutte le cromie dal giallo al ruggine si inseguivano una sopra l’altra come una pancetta gigante. Interessante piccola digressione. Da poco oltre l’imbocco della grotta si inizia a scendere più rapidamente, qualche stretto zig zag fa scendere di quota e il ponte dell’Alpe anche se ancora lontano è già a vista. Il sentiero erboso si ricongiunge con la carrareccia percorsa la mattina e da li il rientro è davvero poca cosa (+1,20 ore). Ne è valsa tutta la pena del mondo iniziare da questa facile montagna, ci ha permesso di prendere immediatamente confidenza col territorio e localizzare già le prossime mete che ci eravamo prefissati. La dislocazione delle valli e delle cime era già in testa, un po' quello che succede quando vago sugli Appennini, mi piace leggere il territorio prima di starci dentro, la cosa spiacevole è stata l’immediata consapevolezza che non avremmo potuto conoscere tutto quel magnifico territorio che oggi abbiamo avuto sempre davanti. Faremo del nostro meglio per viverlo il più possibile.